“IN NOME
DEL POPOLO
GABBATO”
Durante i duri giorni della lotta di Manfredonia, contro la piovra assassina, annidata su una delle più belle piane di tutto il Mediterraneo, con un lungo tentacolo infilato dentro il nostro mare azzurro, gli esponenti del Movimento cittadino contro l’EniChem distribuirono un volantino intitolato “Finalmente fuori!”, per stigmatizzare l’atteggiamento dei partiti, i quali, dopo aver per lungo tempo lasciato la nostra città sbranarsi in una lotta fratricida, quando questa stava avviandosi verso una giusta soluzione, uscirono finalmente con un manifesto, a rivendicare tutt’intero il proprio potere d’intervento.
Oggi, nonostante l’esperienza nefasta degli insediamenti EniChem e la successiva rivolta popolare, dobbiamo prendere atto che nulla è mutato e la storia si ripete, con l’intervento ancora una volta spregiudicato di uomini ed organizzazioni politiche. Ma questa volta vi è l’aggravante che nulla è stato, nel frattempo, fatto per bonificare la tana della piovra, la quale, dopo aver ammorbato l’aria ed il nostro mare, ha mostrato di non avere nessuna voglia di andar via.
Ancora una volta, come trent’anni fa, è stata usata la fame di lavoro dei nostri giovani, per scaricarci addosso sudiciume e fatica, occupazione e morte, come se vi fosse un nesso inscindibile tra queste contrastanti categorie del vivere quotidiano.
Centinaia di famiglie in frenetica ricerca di un posto di lavoro per una figlia, un figlio da sposare o già sposato con bambino a carico, non sono una cosa da niente, in una città come la nostra, e su tale terreno si è inserita la politica, soprattutto questa sporca politica del nostro Sud, che si considera piuttosto un fine, non un mezzo per giusti obiettivi, e pensa di esistere solo per bassi giochi e posti da occupare, magari nel Parlamento nazionale.
Come sarebbe possibile credere, altrimenti, che un sindaco ambientalista abbia potuto assecondare certi accordi tra istituzioni e sindacati, per stringere ancora intorno alla gola di questa città la ghigliottina preconizzata da Zevi?
Come si potrebbe comprendere che i Verdi, quando furono nel Governo, nulla abbiano fatto per avere un Centro epidemiologico e di monitoraggio delle malattie ambientali, in un territorio a forte incidenza tumorale, con 17 operai deceduti e centinaia di cittadini
morti o colpiti da gravissime malattie?
E’ fin troppo chiaro che quel Centro non si doveva fare, per non “allarmare” la popolazione, sulla testa della quale si stava già preparando un’altra stagione di veleni.
Così è stato possibile che su Manfredonia, come risarcimento a decenni di scempio e alla disoccupazione lasciati dall’EniChem, si scaricassero altro cemento, altri rischi per la salute, nuovi attacchi alla vita sociale, approfittando di una città stremata, senza più neanche la forza di protestare, di urlare il proprio sdegno, ormai totalmente inascoltate le manifestazioni di sbigottimento di scrittori, uomini di cultura e d’ingegno, per quello che si va di nuovo consumando contro il futuro di questa città.
In tale contesto, qualche politico di rango non ha avuto il timore di affermare: “Tutte le verifiche fatte ci tranquillizzano... La scelta della reindustrializzazione non è stata di pochi, ma dell’intera città”.
“Così – ha affermato recentemente in un suo lungo articolo un inviato dell’Unità - il bisogno di lavoro viene ancora una volta interpretato come consenso alla devastazione, ignorando il forte degrado ambientale di Manfredonia ed il peggioramento delle condizioni che si va a perpetrare. Questo bisogno esasperato di lavoro autorizza ogni sorta di scempio, al di là di ogni attenzione per la salute pubblica e per la qualità del lavoro”.
Ora come trent’anni fa, forse più di allora. Anzi, senz’altro di più.
E’ stato notato da qualcuno come, subito al di là della piana, divenuta omai la piana della morte, a lettere grandi, sia scritta una frase un po’ forte, “CREDEVO FOSSE AMORE E INVECE ERA UNA ZOCCOLA”, dettata forse da una grave delusione amorosa. Anche se qualcuno ha pensato che quella scritta esprimesse la delusione di un operaio, il quale dopo avere un tempo atteso speranzoso un posto di lavoro all’Anic, poi divenuta EniChem, una volta ottenutolo ha visto quel posto trasformarsi per lui in motivo di morte.
Ma io penso potrebbe essere vero anche un altro messaggio, autorizzato da quella frase. Chi ha vissuto davvero da vicino le vicende manfredoniane ed ha osservato come i partiti ed i loro esponenti istituzionali abbiano saputo indossare vestiti sempre diversi, ad ogni stagione, mettendo per lo più avanti interessi personali e di bottega, a costo di allontanare da sé le menti e, soprattutto, i cuori migliori, può anche pensare che il messaggio si rivolga proprio ai partiti, i quali hanno la responsabilità di aver fatto, in tutti questi anni, mercimonio della nostra città.
Sicuramente mi viene da pensare questo, quando guardo sbalordito un manifesto del Gruppo Parlamentare Verde, che ha organizzato nella nostra città un convegno nazionale, dal titolo “In nome del popolo inquinato”.
Solo ora, dopo tanti anni di assoluto silenzio, voluto per non disturbare i manovratori e non ostacolare i Contratti d’Area, che il Governo, con dentro i Verdi, decise per Manfredonia ed altre derelitte città del Mezzogiorno, onde rivitalizzare sulla nostra piana la malefica piovra, davvero mai morta, con autorizzazioni da concedere, per legge, entro settanta giorni, cosa che nel nostro Sud significa, perfino, impossibilità di aprire le carte, e senza rispettare i contratti di lavoro, tanto a Manfredonia, hanno pensato i “Verdi per caso”, insieme ai loro amici di Governo, la gente se ne starà, ancora una volta, zitta e tranquilla, pronta ad essere di nuovo presa per fame.
Adesso che la devastazione è completa e nulla si può più fare, ora che i Verdi non partecipano più alle grandi spartizioni ed alle distribuzioni dei posti di governo e sottogoverno, eccoli di nuovo, benvenuti tra noi.
Ma verrebbe piuttosto da dire, ora come allora: finalmente fuori